“Diaspore e convivenze in età moderna” – Giuseppe Patisso – Università del Salento

L’età moderna si apre con una diaspora, una della tante riscontrabili nel corso dei suoi secoli. Il 31 marzo del 1492 nella fortezza dell’Alhambra fu emanato il decreto col quale i re cattolici sancivano l’espulsione delle comunità ebraiche dai loro possedimenti a partire dal 31 luglio dello stesso anno, subito dopo aver cacciato i mori dalla penisola.

Altre diaspore colpiranno gli ebrei, e non solo loro, per tutta l’età moderna. Come non considerare diaspora la cacciata di circa 300.000 moriscos, sempre dalla Spagna, accusati di cripto-islamismo e infine espulsi tra il 1609 e il 1614? Migranti forzati alla ricerca di una convivenza verso altri luoghi dove portarono tutte le loro tecniche agricole e le loro specializzazioni. Ma è anche un’Europa attraversata da migranti religiosi, cristiani, che si sposteranno da una regione all’altra del Vecchio Continente (e non solo) in cerca di un luogo dove poter professare liberamente la loro fede.

Nella Germania devastata dalla Guerra dei Trent’anni e sottopopolata furono le consistenti correnti migratorie che a partire dal 1650 produssero un lento ma continuo recupero demografico. Deportati e migranti di tipo soprattutto politico si registrano anche nel Nuovo Mondo, nella Nouvelle France e precisamente nell’Acadia conquistata dagli inglesi i quali, nel 1755, agli abitanti della regione, fedeli alla corona di Francia, imposero di ripudiare quella loro appartenenza. Gli Acadiani rifiutarono subendo il Grand Dérangement, cioè la deportazione verso i luoghi più disparati, fino alle isole Falkland, che furono poi ribattezzate Malouines proprio perché colonizzate da un nucleo di coloni Acadiani, in maggioranza provenienti da Saint-Malo.

Diaspore, migrazioni, convivenze restano eventi e sfide dei nostri tempi. Per Patrick Manning (Migration in World History, Routledge, 2013) le migrazioni rappresentano la normalità storica. “L’Europa degli Stati, con il disciplinamento rigoroso degli spostamenti, è una autentica interruzione di questa normalità”. Il dibattito resta più che mai aperto.